
Modi di dire
“si stava meglio quando si stava peggio!” quante volte abbiamo sentito questa frase? Magari qualcuno l’ha anche detta, oppure solo pensata. Ma davvero si stava meglio quando si stava peggio? È una domanda a cui è difficile rispondere, tra il passato e il presente c’è un abisso, non sono neanche lontanamente paragonabili. Sicuramente del nostro passato ci sono cose che meritano di essere salvate, mantenute, conservate.
Quello che mi manca, oggi, per dirne una, è il senso della comunità, saper stare insieme come parte di qualcosa di più ampio del nostro nucleo famigliare. Questo si mi manca tanto. Forse perché sono cresciuta in una corte, dove si condivideva lo spazio, il tempo, il companatico. Dove noi bambini di tante età diverse crescevamo insieme senza troppe interferenze degli adulti. Forse più di tutto, mi manca la comunità. Potrei addirittura dire di averlo dentro il senso della comunità, che non mi ha mai abbandonato, ma ha trovato nuove forme per accompagnarmi. Ecco perché se mi accorgo che qualcuno è in difficoltà faccio in modo di esserci, nei limiti del possibile e magari senza bisogno che me lo chieda.
La realtà nei parchi giochi
Da quando sono mamma, però, mi capita molto spesso di assistere a scene spiacevoli che si consumano, nella totale indifferenza, nei parchi, luoghi frequentati da: genitori, nonni e dai nostri figli. Scene che sono talmente entrate nella normalità che non saltano nemmeno più all’occhio. Se qualche bambino è particolarmente esuberante, tanto da dare fastidio agli altri bambini, viene automaticamente escluso. Il problema è che sono proprio gli adulti a suggerire ai figli di non giocare più col bambino in questione. Il tutto senza tenere minimamente in considerazione la storia personale di quel piccolo essere vivente e delle difficoltà che magari sta vivendo, accentuate dalla sensazione di non essere accolto dalla piccola società che lo circonda. Come se la colpa fosse dei bambini. Come se bastasse eliminare il bambino dispettoso per risolvere tutti i problemi dei nostri figli. E allora le sane liti tra bambini, quelle che dovrebbero aiutarli a misurare il loro personale, livello di sopportazione della frustrazione, diventano affari di stato che coinvolgono: nonni, genitori e a volte anche i passanti.
I genitori scelgono
Mamme che si arrabbiano con i compagni di giochi dei figli, bambini sgridati a volte per sbaglio da chi difende il proprio figlio a prescindere. In tutta questa confusione che si è creata negli anni, ci siamo persi un passaggio fondamentale: noi esseri umani stiamo veramente bene, solo quando stiamo tutti bene. Vale anche per i nostri figli, ovviamente.
La vera missione
Tutte le energie che impieghiamo ogni giorno per trovare mille ragioni che confermino ai nostri occhi quanto bravi sono i nostri figli rispetto agli altri, potremmo investirle nell’insegnare loro che nessuno si merita di essere escluso, ma ognuno merita di essere compreso. Perché un bambino compreso e accolto per quello che è, entra in quel territorio neutro che è l’unico posto dove può iniziare il suo cambiamento. Dovrebbe essere questa la missione di noi adulti.
Sarebbe bello farlo anche tra di noi se vediamo che qualcuno è in difficoltà. La vita è più facile per tutti se sappiamo di poter contare gli uni sugli altri. Tornando alla dichiarazione iniziale, secondo me non dobbiamo neanche chiederci se si stesse meglio quando si stava peggio, piuttosto potremmo trovare il modo di vivere meglio adesso, insieme.