
Da qualche giorno non si fa altro che parlare di ClubHouse, un nuovo social network con soli due impiegati full-time, i due fondatori, che deve la sua viralità al fatto di essere elitario: infatti possono accedere solamente le persone con sistema operativo iOS -quindi iPhone- e solamente se invitati da una persona che ne fa già parte: ogni utente ha 2 inviti a disposizione, ma questi possono aumentare a seconda delle ore passate sull’applicazione. Al momento ha solo qualche migliaio di utenti e 9 mesi di vita, ma già è stato valutata oltre 1 miliardo di dollari in Silicon Valley.
Non è solo questo il motivo per cui tutti ne parlano:
è il primo social network estremamente democratico e incentrato interamente sulla parola. Infatti, una volta registrati, ci si trova di fronte ad una lista di interessi e, dopo aver selezionato i propri, ci vengono proposte delle room (“stanze”) all’interno delle quali si parla di determinati argomenti con sconosciuti. Praticamente un podcast live in cui tutti possono parlare con chiunque. Niente video, niente chat, solo parole. Per esempio, qualche giorno fa mi sono ritrovato in una stanza a parlare con Marco Montemagno, Luis Sal, Imen Jane e altri personaggi molto influenti del panorama italiano.
Perché trovo questo social network estremamente interessante ed innovativo?
Perché finalmente viene dato meno valore al numero di follower e più al contenuto: le persone maggiormente seguite sono “costrette” a scendere dal piedistallo su cui erano abituate a trovarsi all’interno di altri social come Instagram e YouTube, e parlare con i “comuni mortali”. D’altronde il contributo in una conversazione non è direttamente proporzionale al numero di fan che si hanno. Un altro aspetto interessante è che, almeno per il momento, non c’è la possibilità di ottenere un profilo verificato, proprio per non creare troppe differenze tra gli user.
ClubHouse riesce a realizzare quello che Snapchat e Instagram avevano iniziato con le storie, ovvero far capire a tutti che anche i personaggi più famosi hanno una vita quotidiana simile alla nostra. Solo che con i social citati prima l’interazione è molto difficile, in questo caso invece sembra del tutto naturale. In poche parole, un ritorno digitale alle origini.
Nelle stanze che ho analizzato in questi giorni l’argomento principale è il business/marketing, e purtroppo per il momento ci sono ancora pochi italiani, non più qualche centinaio. Al di là dei personaggi che si trovano in questo ambito, ho visto tra gli spettatori anche molti ragazzi giovani, addirittura minorenni, che seguivano le conversazioni senza proferire parola. Subito mi è venuto da pensare: “possibile che nessuno apra delle stanze con un fine socialmente utile e ben preciso, al di là della chiacchierata lavorativa come se fossimo ad un aperitivo in Piazza Affari?” Ad esempio, una in cui si parla di bullismo, nella quale le persone possano raccontare le proprie esperienze e dare dei consigli che potrebbero letteralmente svoltare la vita agli ascoltatori. Fortunatamente qualcuno ci è già arrivato, infatti un paio di giorni fa ho partecipato attivamente ad una stanza in cui si parlava di diritti umani con tema del giorno l’omosessualità.
Nonostante le critiche che sta ricevendo da alcuni -che poi, ammettiamolo, si diceva la stessa cosa di TikTok e al giorno d’oggi è uno dei social network più utilizzati in assoluto- trovo che sia una piattaforma con un enorme potenziale. Va al di là degli obiettivi prettamente numerici delle altre app, a tal punto che lo definirei un social network più che un semplice social media. “Network” perché in grado di creare una potentissima community nella quale ognuno può condividere le proprie esperienze.
E soprattutto, ritengo che sia estremamente meritocratico:
non ci sarà più spazio per chi utilizza software come bot per acquisire in modo illecito follower e like, o per chi sponsorizza post discutibili solo per far parlare di sé. Su ClubHouse per diventare influenti è necessario saper argomentare, essere educati, e soprattutto avere il “coraggio” di mettersi a tavola anche con la persona che su un qualsiasi altro social non sarebbero mai state considerate. Se vogliamo riassumerlo in poche parole, è vietato ignorare.
Inutile precisare di stare sempre attenti all’attivazione/disattivazione del microfono: se conoscete poco l’app e vi distraete mentre siete all’interno di una room, potrete far sapere alle altre persone in stanza quanti etti di pasta butterà la mamma mentre parlate al telefono con lei. E penso che a nessuno interessi.
Oltre all’utente stesso, l’unica persona che ha il potere di mutare o smutare una persona è l’organizzatore della stanza. Un potere sacrosanto e necessario in questo caso, dato che la libertà di ognuno finisce dove inizia quella degli altri.
Quali sono i possibili scenari?
Ritengo che ovviamente Clubhouse non sia ancora nella sua forma definitiva, magari per raggiungerla ci metterà un annetto, o forse anche meno considerata l’evoluzione repentina che ha avuto nell’ultima settimana (in Italia in soli 7 giorni ha già raggiunto il doppio degli utenti fatti nei primi 8 mesi). Sicuramente però, oltre ad utilizzarlo per fare networking in ambito digital, sarà utile per qualsiasi nicchia di persone e per affrontare argomenti importanti da un punto di vista sociale. O anche più semplicemente per chiacchierare davanti ad un caffè con il proprio influencer preferito. Incredibilmente scopriremo che non avrà un quotidiano così diverso dal nostro.