
Si è ormai parlato di frequente di linguaggio inclusivo (ovvero l’adozione di un genere neutro, almeno nella comunicazione scritta, da parte di alcuni gruppi, utilizzando espedienti quali l’asterisco o la schwa, una vocale neutra esattamente al centro del trapezio vocalico) e sappiamo che è facile generare polemiche intorno ai cambiamenti linguistici (ne avevamo parlato anche qui rispetto ad alcune posizioni dell’Accademia della Crusca e di Treccani). Abbia quindi già affrontato motivazioni e problemi rispetto alle innovazioni nella lingua italiana, ma come si articola il dibattito sul linguaggio inclusivo nel resto delle lingue d’Europa?
Il linguaggio inclusivo in Europa, al parlamento
La parità di genere, il femminismo e la rivendicazione dell’autodeterminazione individuale attraverso strumenti linguistici non è di certo cosa tutta italiana. Al contrario, addirittura nel parlamento europeo esiste un documento che regolamenterebbe il buon uso della neutralità di genere nel linguaggio. In questo documento si legge ad esempio che:
Per evitare i riferimenti al genere si possono usare termini neutri, ovvero senza connotazione di genere, che rimandano al concetto di “persona” in generale, senza alcun riferimento a donne o a uomini; ad esempio, in inglese, chairman (presidente uomo) è sostituito da chair (presidenza) o da chairperson (persona che detiene la presidenza)
Questo documento risale al 2008 e mette in luce il fatto che forse le questioni linguistiche di genere non sono poi una cosa così nuova, anzi! Alma Sabatini fece uscire il suo libro “Il sessismo nella lingua italiana” già nel 1987, ad esempio. Insomma, quello che viviamo ora, tra giornali e social, non è altro che un processo di riflessione in corso da molto più tempo.
Il linguaggio inclusivo in Europa, tra la gente
Come è noto, nella lingua e nei comportamenti, difficilmente le imposizioni dall’alto sono ben accolte della popolazione. Funzionano invece i cosiddetti processi bottom-up, che sono le strategie nate e utilizzate all’interno della popolazione interessata a questo tipo di attenzione linguistica e identitaria, che spesso coincide con i circoli di LGBTQIA+, in cui sono più frequenti i dibattiti rispetto alla parità di genere e all’identità non binaria.
Il linguaggio inclusivo in inglese
Il Regno Unito non è più parte dell’Unione Europea, ma sicuramente non possiamo negare che la lingua veicolare per eccellenza resti comunque l’inglese. Da tempo ormai in inglese si utilizza il pronome “they/them”, mutuato dal plurale, per le persone che non vogliono identificarsi in un genere binario, accanto ai classici “he/him” e “she/her”. Sebbene questa strategia sia quella più adottata, è possibile constatare che esiste una vasta scelta di pronomi alternativi tra cui scegliere, che sono illustrati nell’immagine.

E nelle altre lingue romanze?
In francese si è visto nascere un pronome neutro che è risultante dall’unione del pronome maschile e del pronome femminile, dando come risultato “iel”.

Lo spagnolo, oltre ad aver coniaato il pronome neutro “elle”, ha potuto destreggiarsi abbastanza facilmente anche con le desinenze: dato che in spagnolo tutti i maschili finiscono in o e tutti i femminili in a, è bastato usare la e ogni qualvolta ci si volesse riferire a una persona non binaria. Nonostante questo, è in uso anche la grafia tramite x che ricorda un po’ la soluzione italiana con l’asterisco o la schwa.
E molte altre lingue
In norvegese, in modo similare al francese, è emerso un pronome neutro dato dall’unione del corrispettivo maschile (han) e di quello femminile (hun), utilizzando la lettera prescelta dallo spagnolo, dando vita a hen. Onu invece è il neopronome in lingua polacca inteso come pronome neutro rispetto al genere e un’alternativa ai pronomi specifici di genere on (lui) e ona (lei).