
Avete mai provato ad osservare i vostri figli quando vi raccontano qualcosa? I loro occhi brillano e nel racconto potete osservare la partecipazione di tutto il loro corpo. Ho recentemente scoperto che i bambini smettono di raccontare, più o meno, verso gli undici anni. Perché?
Un po' perché non interessa a molti quello che hanno da dire i ragazzini, ma anche per evitare di esporsi emotivamente con i loro amici. Pensate a quante volte vi è capitato di confidare un segreto ad un amico, per poi scoprire che lo aveva spifferato a tutti. Sono tanti i fattori che ci fanno smettere di raccontare, ognuno ne avrà di diversi, solitamente con lo stesso risultato finale. Ma entriamo nel vivo di quello che succede nel momento in cui i nostri figli smettono di raccontare.
Adolescenti e monosillabi
I più fortunati, andranno avanti a sentire tutte le emozioni che li attraversano, senza condividerle con nessuno. I meno fortunati, piano piano perderanno il contatto con il loro mondo emotivo, riducendo sempre di più le parole per comunicare con il mondo esterno. Già, proprio come quegli adolescenti che rispondono a monosillabi. Il punto importante su cui possiamo concentrarci, ora che sappiamo cosa accade dentro di loro, è quello di fare il possibile perché questo non avvenga, o cercare di aiutarli a tornare in contatto col loro mondo emotivo, se siamo genitori di figli adolescenti.
Nella beata ignoranza che regnava sulla psicologia dell’età evolutiva, all’epoca dei nostri genitori, certi meccanismi non venivano neanche presi in considerazione. Ma una volta che ne veniamo a conoscenza, abbiamo la possibilità di fare qualcosa per aiutarli in questo processo evolutivo di cui alla fine facciamo parte anche noi. E come possiamo farlo? Innanzitutto col buon esempio: se io sono in contatto col mio mondo emotivo e mi racconto in famiglia, sto già dando un grande esempio di come fare. Vi siete mai chiesti perché i bambini di quasi tutte le età alla domanda:” cos’hai fatto a scuola?” rispondono “Niente”? Forse perché chiediamo loro di raccontarci qualcosa della loro giornata, mentre noi non raccontiamo niente della nostra?
I genitori siano l’esempio: raccontino, ascoltino
Io ho provato a fare il contrario e devo ammettere che ha funzionato. “sai oggi cosa mi è successo?” e immediatamente ho tutta l’attenzione di Aurora, non solo, dopo avermi ascoltato, anche lei comincia a raccontare.
In questo modo io so, senza aver bisogno di chiedere, se voglio sapere cosa ha mangiato, le dico cosa ho mangiato io a pranzo, e tac, in un attimo ho il menù del giorno. E se abbiamo un figlio già nel pieno dell’adolescenza, già ridotto ai: sì no, forse e va beh, cosa possiamo fare?
Essere l’esempio vale come consiglio universale, e poi stare accanto a loro, ascoltare i silenzi, in silenzio, lasciargli il tempo, giorno dopo giorno, di imparare, di nuovo, a stare con le emozioni, a riconoscerle, anche a sdoganarle dalle loro accezioni negative.
La rabbia è sana, si può essere tristi, delusi, frustrati, nervosi. Le emozioni vanno rispettate, tutte. Evitare il più possibile frasi come “sei ancora arrabbiato? e basta però adesso” sostituendole con “ti vedo arrabbiato anche oggi, ci sta, a volte anche io lo sono per molti giorni, se vuoi ne parliamo”.
Perché è utile insegnare ai nostri figli che ogni emozione ha diritto di fare il suo corso, e più cerchiamo di reprimerle, meno velocemente se ne vanno. E poi vale una regola generale: ascoltare, ascoltare, ascoltare. Perché i racconti prendono vita nel momento in cui c’è qualcuno che li ascolta.