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La scienza delle parolacce: cosa sono e perché non possiamo farne a meno

Fin da bambini ci è stato ribadito svariate volte che “non si dicono le parolacce”, eppure tutti le usiamo nel nostro quotidiano, nelle situazioni più disparate.

Cosa sono le parolacce?

Le parolacce fanno parte di quello che viene più elegantemente chiamato turpiloquio, che indica un linguaggio volgare, osceno e a volte offensivo. Si tratta di disfemismi, ovvero il contrario degli eufemismi. Sono parole che vanno dritte al punto, che non hanno alcun interesse nell’infiocchettare la realtà e in un certo senso vanno dritte al punto, senza alcun tipo di intermediazione semantica. Si tratta di parole che hanno solitamente dei contesti d’uso in cui sono maggiormente accettate (ad esempio al bar tra amici) e risultano inadeguate in altre (magari durante una seduta di laurea). E’ giusto sottolineare che le parolacce non sono interdette di per sé a causa dei contenuti, ma per la forte carica emotiva che presentano nella loro forma, appunto senza fronzoli.

Le motivazioni biologiche

Il verbo italiano insultare deriva dal verbo latino “insilire” che significa letteralmente “saltare sopra” o “saltare addosso”, rappresentando metaforicamente un’aggressione fisica. Secondo Eibl-Eibesfeldt, uno dei padri dell’etologia, la nascita e l’evoluzione del linguaggio umano sono legate grandemente alla necessità umana di ritualizzare l’aggressività. (In questo articolo invece abbiamo analizzato le altre ipotesi sulla nascita del linguaggio umano). Infatti, la possibilità di risolvere le divergenze su un piano verbale è alla base di una possibile società, permettendo di poter procrastinare il più possibile lo scontro fisico. Proprio per questo motivo l’insulto sembra essere una delle parti fondamentali della lingua umana. Da un punto di vista cerebrale, si è visto che l’amigdala è una delle aree del cervello che è designata all’insulto e al turpiloquio. Nel libro Insultare gli altri si legge che:

L’amigdala è la parte più primitiva e ancestrale del nostro cervello e risale a circa 250 milioni di anni fa. Non solo la possiedono tutti i mammiferi, ma strutture analoghe si rintracciano anche nei pesci, negli uccelli e nei rettili. È la parte del cervello che gestisce le emozioni (rabbia, felicità, aggressività ecc.), la memoria emozionale e soprattutto quegli stati emotivi negativi così importanti per la conservazione di una specie come, ad esempio, la paura. Stimolando l’amigdala è possibile generare attacchi di panico o indurre comportamenti aggressivi. È dall’amigdala, dunque, che nasce l’impulso emotivo a urlare “stronzo!” ed è sempre l’amigdala che si illumina durante una scansione cerebrale se un paziente urla con rabbia “merda!”

Quante parolacce esistono in italiano?

Nel Gradit, il Grande dizionario italiano dell’uso, ci sono più di duemila vocaboli capaci di evocare contenuti potenzialmente spregiativi e insultanti. Goffman individua tre categorie fondamentali di stigma: le deformazioni corporee, le distorsioni del carattere e lo stigma tribale, legato all’appartenenza a un gruppo sociale. Quello che si è visto è che, a seconda del luogo, è possibile vedere delle differenze nella frequenza dei tipi di insulti possibili. Nel Meridione prevalgono espressioni insultanti di natura relazionale (relazioni incestuose con genitori o parenti, la sfera sessuale dei parenti stessi), auspici di morte e sventure a componenti del nucleo familiare. Nel Settentrione invece le persone mirano maggiormente a sminuire o negare l’individuo in sé, coinvolgendo la dimensione della diversità fisica e cognitiva.

E all’estero come si insultano?

Da una lingua all’altra le espressioni insultanti variano in modo davvero fantasioso, dimostrando quanto la cultura sia insita anche nel linguaggio.

  • Perchot’ podzalupnaja in russo significa: “Hai la forfora nel sedere”
  • Parler français comme une vache espagnole in francese vuol dire “Parlare francese come una vacca spagnola”
  • Grozna si kato salata in bulgaro è “Sei brutta quanto l’insalata”
  • Lackaffe è un insulto tedesco che significa “Scimmia di vernice”
  • Go n-ithe an cat thu, is go n-ithe an diabhal an cat! in gaelico irlandese è più o meno “Possa un gatto mangiarti e poi il gatto venga mangiato dal diavolo”

Le parolacce sono parte di noi e della nostra cultura

Per quanto ci si opponga, c’è poco da fare, le parolacce ci accompagnano e ci aiutano ad esprimere le nostre emozioni negative (e ci permettono anche di scherzare affettuosamente coi nostri amici). Ogni parola ha il suo registro e questo non va dimenticato, ma solo perché si tratta di parolacce non significa che esse non abbiano una dignità scientifica e che non possano essere spiegate in termini di utilità umana. Quindi buon turpiloquio, ma non esagerate.

Veronica Repetti
About author

Laureata in Lettere e in scienze linguistiche, attualmente frequenta il corso di laurea in Logopedia. Vuole essere il collegamento tra questa materia così specialistica e la realtà di ognuno di noi. Con lei ti accorgi che non bisognerebbe mai dare le parole per scontato.
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