
Si stima che, ad oggi, il numero di persone affette da demenza in Italia si aggiri intorno al milione. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), più del 60% di queste viene categorizzata come demenza di Alzheimer. Si tratta di una malattia che porta alla progressiva distruzione di neuroni: il cervello si deteriora lentamente e questo va a compromettere drasticamente le capacità cognitive della persona. Purtroppo, le cause che portano a questo deterioramento non sono ancora note e per ora vengono perlopiù attribuite ad una combinazione di fattori genetici ed ambientali. Si calcola che nel 2040 circa una persona su 85 sarà affetta da questa malattia: nonostante questo numero preoccupante, non se ne parla ancora abbastanza, forse per paura. Sono molti i falsi miti e le dicerie ancora molto diffuse riguardo Alzheimer e demenza e sono proprio questi a trasformare questi argomenti in tabù che alimentano disinformazione ed alienamento. Andiamo a sfatarne qualcuno.
1. Alzheimer e demenza non sono sinonimi
Questo è uno dei primi aspetti sui quali è facile confondersi. “Demenza” è un termine generale che indica un lento e progressivo deterioramento delle funzioni mentali: questo deterioramento è tale da compromettere l’autonomia della persona che ne è affetta nella vita di tutti i giorni. Ecco, il morbo di Alzheimer è non è altro che una malattia che causa questo declino. La demenza da Alzheimer è la più diffusa in assoluto (circa l’80% del totale), ma ne esistono di diverso tipo, con problematiche e sintomatologia diversa. Questo distinguo, che può sembrare puntiglioso ed irrilevante, è in realtà estremamente utile per comprendere meglio questa malattia e cosa comporta. Inoltre, è bene sapere che la demenza costituisce solo la fase finale dell’Alzheimer: se diagnosticato repentinamente, è possibile rallentare con successo questo processo. Torneremo a breve su questo punto.

2. L’Alzheimer colpisce solo la memoria
L’Alzheimer è spesso, in maniera fin troppo semplificativa, descritta come “la malattia degli smemorati”. C’è un fondo di verità in questa semplificazione: uno dei segni più comuni ed evidenti di questa patologia è sì la perdita di memoria e la maggior parte delle difficoltà hanno a che vedere, nello specifico, con quella a breve termine. Ciononostante, sono molte di più le capacità cognitive colpite dalla malattia, come per esempio il linguaggio o le funzioni esecutive. Queste difficoltà si manifestano con una serie di sintomi che spesso non vengono associati in automatico a questa malattia e vengono perlopiù attribuiti all’invecchiamento e allo stress. Tra questi troviamo cambiamenti di umore o di personalità, difficoltà a comunicare verbalmente o addirittura distorsioni visive, che portano ad una visione alterata delle immagini.
3. Non riguarda solo le persone anziane
Si tende a pensare all’Alzheimer e alla demenza che ne consegue come qualcosa che, quasi inevitabilmente, colpisce solo le persone particolarmente anziane. Tralasciando il fatto che è sbagliato pensare che la demenza faccia parte del normale processo di invecchiamento, purtroppo non è esattamente così. Esistono forme precoci di Alzheimer che colpiscono persone molto giovani, di un’età compresa tra i 30 ed i 60 anni di età. Si tratta di casi abbastanza rari (circa il 5% del totale), ma la loro esistenza ci dimostra anche quanto sia necessario informarsi sui sintomi principali di questa malattia e ad allenarsi riconoscerli, così da poter intervenire tempestivamente.
4. La diagnosi precoce è fondamentale
Riagganciamoci al punto precedente per iniziare a trattare una questione molto importante (e decisamente più rincuorante dei precedenti). Un errore che viene commesso da molti è quello di pensare che avere una diagnosi sia inutile, trattandosi di una malattia degenerativa e per la quale non esiste cura. In realtà, una diagnosi tempestiva può fare la differenza nel determinare quale sarà il decorso della malattia. Ad oggi, l’Alzheimer è diagnosticabile con largo anticipo, ben prima che sfoci in demenza. Questo è possibile grazie a numerosi esami fisiologici (risonanze magnetiche, PET e punture lombari) che permettono di individuare in maniera chiara i segni che la malattia lascia sul nostro cervello. Se c’è una cosa che numerosi studi recenti hanno dimostrato in maniera inequivocabile, è che quanto prima si inizia la terapia per contrastare il morbo, tanto migliore sarà la sua efficacia.
5. Siamo in controllo di buona parte dei fattori di rischio
Parliamoci chiaro: le cause che portano all’Alzheimer sono ancora ignote. Non esiste quindi stile di vita o accorgimento che possa garantire con certezza matematica che non la svilupperemo. Eppure, esistono una serie di studi molto interessanti sul versante della prevenzione: sono infatti stati identificati alcuni fattori di rischio modificabili sui quali è possibile agire per ridurre, per quanto possibile, il rischio di contrarre la malattia. Tra i fattori coinvolti, troviamo l’obesità, il diabete, la bassa scolarizzazione, l’ipertensione, il fumo e l’inattività fisica. Vien da sé che bastano alcuni accorgimenti (come seguire una dieta equilibrata, praticare sport e tenere la mente allenata) presi nel corso della propria vita, per far sì che il rischio di Alzheimer si riduca di circa il 35%.
6. Non esiste cura, ma la ricerca fa progressi

Non confondiamo la prevenzione con la cura. Traduzione: non credete a chi vi promette di poter contrastare la malattia di Alzheimer con intrugli miracolosi o diete particolari. Ad oggi, purtroppo, non esiste una cura definitiva contro la demenza di Alzheimer, ma solo trattamenti farmacologici che puntano a bloccare o rallentarne il decorso. Ciò non significa che il mondo della ricerca non si stia impegnando a risolvere questo problema, ottenendo anche risultati significativi. Ad esempio, uno studio recentemente pubblicato su Science sembra far luce sul meccanismo che porta al deterioramento neuronale nelle prime fasi della malattia: più saremo in grado di comprendere questo processo, più facilmente riusciremo a contrastarlo. Sono in via di sperimentazione anche un farmaco che pare riuscirebbe a “ripulire” il cervello dall’accumulo di amiloide, una proteina che, secondo molti, è fortemente correlata con l’insorgenza dell’Alzheimer. Se efficace, questo farmaco potrebbe non solo bloccare il decorso della malattia, ma anche alleviarne i sintomi quando diagnosticata in fase precoce.
7. Non siete soli
L’Alzheimer è una malattia subdola, che porta a isolarsi e sentirsi isolati. Se siete alle prese con questa malattia (sia in prima persona che in maniera indiretta) è bene non cedere a questa solitudine. Fortunatamente, ad oggi esistono numerose associazioni che aiutano le persone con demenza e le loro famiglie ad entrare in contatto con chi sta vivendo la stessa realtà, così da creare un supporto concreto e far capire a chi sta vivendo a contatto con questa malattia di non essere soli. Si stanno inoltre diffondendo in Italia iniziative come gli Alzheimer Cafè che hanno come obiettivo quello di tenere solidi i rapporti tra il malato, la sua famiglia e la sua cerchia sociale. Gli Alzheimer Cafè nascono nel 1997 a Leida, Olanda, da un progetto dello psicogeriatra olandese Bere Miesen: si tratta di spazi informali, in veri e propri locali pubblici adibiti a dovere, dove le persone con demenza, le loro famiglia e le figure professionali si incontrano periodicamente. L’obiettivo è quello di creare un ambiente accogliente, dove è possibile, per tutti i presenti, trascorrere qualche ora insieme, socializzare e chiedere consigli ad esperti o persone che vivono la stessa situazione.
Alessia Tavars