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Non tutti i lockdown vengono per nuocere

So che lo abbiamo pensato tutti. Magari durante i pomeriggi piatti in pieno lockdown, magari durante il giorno del compleanno. In molti abbiamo avuto la sensazione di aver trascorso un anno poco significativo e che non abbiamo potuto utilizzare. 10 mesi che ci meriteremmo di riavere indietro portando lo scontrino al nostro destino, o chi per lui.

 

Questo però è quello che si pensa solo inizialmente.

 

La vignetta di Bill in questione ironizza sul discorso cashback, il nuovo piano finanziario dello Stato per evitare l’evasione fiscale e combattere l’uso del contante (è inutile che ve lo spieghi nel dettaglio, ci ha già pensato Massimiliano Dona nella sua rubrica che vi invito a leggere se siete dei consumatori attenti). Il parallelismo è sul volere indietro il tempo piuttosto che i soldi. Che poi, diciamocelo, è la cosa più preziosa a questo mondo. E forse anche negli altri. Niente e nessuno ci permette di riaverlo indietro, neanche in cambio di tutti i soldi dell’universo.

Questo articolo invece vuole analizzare la questione affrontata nel meme, facendone un’analisi più profonda e sviscerandone i contenuti. Sì lo so, avete appena pensato ad un scena splatter con Bill protagonista, ma giuro che non era mia intenzione! Piuttosto vorrei accompagnarvi in una breve riflessione riguardo i giorni di questo strano anno in grado di far vergognare anche il 2012 previsto dai nostri amici Maya.

Un intero anno in cui non abbiamo provato l’ebrezza di un gesto che prima davamo per scontato come l’abbraccio, di un bel concerto in cui intonare in gruppo il ritornello del nostro artista preferito, o di un viaggio anche solo dietro l’angolo.

Elementi di vitale importanza, per carità, eppure c’è dell’altro. Siamo riusciti a provare ancor di più. A prescindere da quello che ognuno di noi ha fatto quotidianamente -tranne la pizza, a impastare le mani nel lievito ci abbiamo provato tutti- abbiamo affrontato lo scoppio di una pandemia mondiale. Roba che se ce lo avessero detto anche solo un anno fa, l’unica cosa che ci sarebbe venuta in mente sarebbe stata una strana serie tv distopica su Netflix. E invece no, ci siamo ritrovati tutti in questa realtà mascherata da film e tutte le nostre menti si sono adattate a questa situazione. Chi nel migliore dei modi, chi non troppo bene.

 

È tutto qui.

Esatto, non c’è altro da aggiungere.

Già questo dovrebbe bastare e avanzare per non considerare il 2020 un anno sprecato.

È un po’ come se avessimo vissuto una guerra mondiale, forse anche peggio trattandosi di un qualcosa di inaspettato. E lo abbiamo fatto combattendo a colpi di pizze (non schiaffi, letteralmente pizze), maratone di film e pigiami. Magari in compagnia di qualche crollo psicologico, ma se siamo ancora qui a leggere queste righe vuol dire che non c’è andata proprio da schifo e non siamo stati così deboli nell’affrontare una situazione di tale portata. Se non è esperienza questa…

Mi tornano in mente le parole di qualcuno che durante la quarantena diceva: “ne usciremo migliori”. Poi però mi riaffiora anche la risposta più che plausibile: “ne siamo usciti idioti come prima, ma con la mascherina” (ora neanche quello).

Secondo me, come in qualsiasi cosa, il giusto sta nel mezzo: non ne siamo usciti né migliori, né peggiori. Ne siamo usciti diversi, com’è giusto che sia. Non abbiamo sfoggiato la nostra resilienza tanto ostentata dalla società odierna, bensì la capacità al cambiamento, che è l’unica cosa che ci salva. La duttilità dell’essere umano, quasi pari a quella di un liquido che si adatta alla parete zigrinata di un bicchiere. Lo stesso che io continuo a vedere mezzo pieno, per allenare il mio ottimismo. Sperando che sia biodegradabile.

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