
Niccolò Paganini (1782-1840) è forse la prima rockstar – e che star! – della storia della musica. La sua carriera concertistica è assolutamente trionfale. Ben presto assume la fama di “violinista del diavolo”, sia per la grande abilità esecutiva sia per il suo aspetto: “Ha il viso di un dragone. Fronte alta, larga e quadrata, naso aquilino, bocca maliziosa, orecchie ampie e sporgenti e staccate, capelli lunghi e neri, in contrasto con il pallore dell’incarnato.”
Insomma, un’immagine non proprio angelica…
La vita di Paganini

Niccolò è figlio di un imballatore del porto di Genova, grande amante della musica, che gli dà fin da piccolo lezioni di mandolino. È sempre il padre a spingerlo verso lo studio dello strumento per cui diventerà celebre: il violino. I suoi primi maestri non brillano per valore e possiamo considerarlo senza troppi problemi un autodidatta.
Una serie di malattie, tra cui alcune crisi catalettiche che lo fanno credere morto, costellano tutta la sua infanzia e adolescenza. Nonostante questo, inizia a suonare in giro per l’Italia e a Parma riceve in dono da un suo ammiratore un violino Guarneri, uno dei più grandi liutai italiani, insieme ad Antonio Stradivari: pare che questo strumento lo abbia poi perso al gioco… In questo periodo inizia a comporre i 24 Capricci per violino solo, il suo eterno capolavoro (qui potete ascoltare il ventiquattresimo nella versione di David Garrett, violinista di fama mondiale, che interpreta proprio Paganini nel film Il violinista del diavolo). Consiglio anche la trascrizione di Patrick Gallois per flauto solo, splendidamente eseguita da Andrea Manco.
Nel 1801 interrompe momentaneamente la sua attività di concertista, pare per amore: agricoltura e chitarra occupano i tre anni successivi della sua vita. Dal 1805 occupa il posto di primo violino solista a Lucca, alla corte della principessa Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone.
Riprende a suonare in giro per l’Italia, che percorre di lungo e in largo, per poi recarsi a Vienna nel 1828. Tra il 1817 e il 1830 compone i sei concerti per violino e orchestra: il brano più famoso è il finale del secondo in si minore, detto La campanella, di cui esiste anche la splendida versione per pianoforte di Franz Liszt.
Gli ultimi anni
Compone e suona, almeno fino al 1834, quando una malattia polmonare inizia a impedirgli di suonare: nessuno riesce a curarlo e lui continua a rivolgersi a nuovi medici per cercare di salvarsi: alcuni rimedi non fanno che peggiorare la sua catastrofica situazione. Un medico gli diagnostica la sifilide e gli prescrive il mercurio, che gli causerà un’intossicazione cronica. Diventato ormai afono, è Achille, suo figlio naturale, a fargli da interprete.
Tiene l’ultimo concerto a Torino nel 1837.
Niccolò muore il 27 maggio 1840 a Nizza. Dopo una vita poco convenzionale, anche la morte non poteva esserlo: il vescovo ne vieta la sepoltura in terra consacrata – il violinista del diavolo, un eretico! Il corpo è imbalsamato e conservato per molto tempo nella cantina della casa in cui era morto: tredici anni dopo ottiene una degna sepoltura nel cimitero di Gaione e solo nel 1876 in quello di Parma, dove si trova tuttora.

Il “violinista del diavolo”

La tecnica… Paganini raggiunge dei livelli incredibili di bravura: riesce a imitare i suoni della natura e i timbri di strumenti diversi! L’abilità con cui muoveva le sue mani era fuori dal normale: aveva lunghe dita, estremamente mobili, probabilmente a causa di una particolare patologia del tessuto connettivo, la sindrome di Marfan. Compiva dei miracoli violinistici e musicali, fisicamente impossibili per quasi chiunque altro. Non solo innata bravura, la sua: “Se non studio per un giorno me ne accorgo solo io, se non studio per due giorni se ne accorgono tutti”.

Durante i concerti era solito incidere le corde del suo violino, che dunque si rompevano mentre suonava, finché non ne restava solo una, quella di sol, la più espressiva, la più misteriosa. Si diceva che fosse finito in prigione per aver ucciso un rivale in amore: il violino che aveva a disposizione sarebbe rimasto con un’unica corda – indovinate quale – e che da lì derivasse tutto quanto.
Queste sue incredibili capacità hanno fatto dire a molti che fosse arrivato a firmare un patto col diavolo in persona! Cosa aspettarsi, dopotutto, da un compositore che ha tra le sue opere Le streghe (Variazioni in re maggiore su tema tratto dal balletto Il noce di Benevento di Franz Xaver Süssmayr)?
E questa soprannaturalità malvagia non era l’unica leggenda che girava sul suo conto: c’era chi parlava senza mezzi termini di Paganini come di un serial killer!
Il “cannone” e il Premio Paganini

Il suo strumento principale è un Guarneri del Gesù, detto da lui stesso il mio Cannone violino, per la sua immensa potenza sonora. Nel testamento del 1837, chiede che lo strumento sia lasciato alla sua città, Genova, “onde sia perpetuamente conservato”: solo nel 1851 Achille consegnerà lo strumento al sindaco della città.
Ancora oggi lo strumento si trova a Palazzo Tursi, nella Sala Paganiniana. E non dovete pensare che sia rimasto lì a prendere polvere! Per mantenersi vivi, i violini devono essere suonati e anche questo non fa eccezione, per quanto siano rare le occasioni in cui esce in pubblico. Il violinista Mario Trabucco è incaricato di suonarlo periodicamente. Ora sono i vincitori del Concorso Internazionale di violino “Premio Paganini” ad avere l’onore di tenere tra le mani e poter suonare una tale opera d’arte, su cui è possibile osservare i segni lasciati dal Maestro.
“Paganini non ripete”?
Si tratta di un modo di dire molto famoso, ma quanti ne conoscono la storia? Nel 1818 si esibisce a Torino, al Teatro Carignano, in presenza del re Carlo Felice di Savoia. Le corde si rompono, una dopo l’altra, tutte tranne una, la solita. La platea è conquistata, sovrano compreso: il re manda un ciambellano a chiedere di risuonare un brano che aveva particolarmente amato. Poco educatamente, il ciambellano ordina al violinista uno sgarbato “A venta repliché!”, cioè “bisogna replicare”: è a questo punto che egli afferma “Paganini non ripete”.
Il rifiuto, ovviamente, non è particolarmente apprezzato e gli viene così impedito di eseguire il terzo concerto in programma a Torino. Pochi mesi dopo, sdegnato, scrive in una lettera: “In questo regno, il mio violino spero di non farlo più sentire”. In realtà tornerà a Torino per i suoi ultimissimi concerti: Carlo Alberto gli aveva concesso la legittimazione di Achille.
Era solito improvvisare sul palco, quindi spesso era impossibile ripetere allo stesso modo quanto aveva appena eseguito, per l’estemporaneità che l’arte dell’improvvisazione richiede. Per questo si dice che spesso, effettivamente, non concedesse il bis al suo pubblico.
Ed è così che nasce questo famoso modo di dire, frutto di una leggenda, costruita intorno a un musicista senza dubbio straordinario.
Dora Strukan Garrone