
“Per aspera ad astra” è un bellissimo motto latino di non certa attestazione e, nella formulazione così conosciuta, di origine abbastanza recente, anche se in poeti come Virgilio e Seneca comparivano già alcuni concetti simili.
Per aspera ad astra: dalle avversità alle stelle
Quello che è certo è invece il suo significato che, traducendosi letteralmente con “attraverso le avversità fino alle stelle”, ci ricorda della posizione importantissima che occupa la speranza nella vita di ognuno. È infatti, non tanto la garanzia, quanto il sogno di cose migliori, a spingerci ogni giorno avanti nel cammino, a fare luce dall’alto sulle incertezze.
Il senso del motto è di dare speranza alla nostra vita
Una mia amica, confidandomi i dubbi che la disturbano ultimamente, mi ha detto di percepire la fatica, apparentemente vana, della continua lotta che ognuno di noi fa per stare in equilibrio nel mondo. Si chiedeva e mi chiedeva se tutti gli sforzi che sembrano disperdersi dal proprio corpo nel vuoto trovino un senso, una meta cui pervenire un giorno. Parlandole mi appariva sempre più chiaro che la sola sua domanda tradisse un errore di pensiero fondamentale.
La mia amica, scoraggiata, aveva distolto lo sguardo dai motivi per cui lei stessa aveva iniziato la prima volta, se non con gioia almeno con speranza, a impegnarsi nel cammino. Una volta intrapreso il percorso, per quanto esso sia intricato, duro e complesso, non dobbiamo permettere che il bene cui tendiamo, il motivo stesso che dà senso alle nostre azioni venga perso e dimenticato come un’eco lontana. Lei, come tutti noi nei periodi di scoraggiamento, stava mantenendo lo sguardo basso, sovrapponendo così la sua vita, per intero, a una ripida scala. Stava dimenticando di volgere il viso, di tanto in tanto, in alto, verso i suoi obiettivi, o semplicemente di guardare intorno, verso il mondo che ci offre tanta bellezza di cui rifocillarci durante il cammino. La mia amica stava così dedicando tutti i suoi pensieri alla prima parte, “per aspera”, amputando il motto delle parole “ad astra”, che costituiscono poi il vero senso del detto.
La vita è un viaggio, un progresso
Mi viene in mente un dipinto di Annibale Carracci, pittore barocco, il quale rappresentò il personaggio mitologico Ercole, colui che più di tutti nel mito conobbe la fatica, venuto a un certo punto della sua vita, a un bivio, alla cui biforcazione alludevano due donne, una da una parte una dall’altra, puntando con l’indice della mano i diversi sentieri. A destra una fanciulla voltata di spalle indica quelli che, raccolti a terra, sono i simboli dei piaceri effimeri, che tanta gioia sembrano dare in cambio di sforzo quasi nullo a chi li sceglie. Mentre a sinistra la seconda ragazza allude questa volta a una tortuosa salita, scolpita nella roccia, che ha però come differenza, come vantaggio, la meta, la cima della montagna che già si intravede; la prospettiva, già promessa a chi si avvii per quel sentiero, negata a chi imbocchi quello semplice, è quella di un cavallo alato già pronto a scortare fino al cielo chi lo raggiunga. Il concetto non deve per forza caricarsi di significato cristiano, religioso o mitico per trovare la sua verità, basta spostare lo sguardo sulla nostra vita infatti che subito ci accorgiamo di come i periodi più lievi, quelli in cui decidiamo, a volti costretti dallo stress, a dedicarci ad attività prettamente ricreative, siano anche quelli più sterili, immobili.
Ogni volta che ricordo un periodo che si direbbe “leggero” lo immagino in testa come una grande pianura, o ancora meglio un contenitore, confortante fin tanto che la mia stanchezza ne sente il bisogno, ma stagnate dopo poco tempo.
La vita infatti, se la vogliamo pensare come un progresso, o quantomeno un viaggio che ci saluti diversi e cresciuti da come ci ha incontrati, ha bisogno di andare avanti. Perdersi nella pianura infatti non è altro che un avanzare illusorio, restare galleggianti. Per procedere, come in ogni cosa, c’è bisogno di un motore che ci spinga, la cui forza propulsiva si può ottenere solamente dal rapporto di due energie, fatica e premio, dalla continua tensione tra gioia e sforzo. E non è retorico dire che proprio le pene si trasformino in carburante, quando più volte abbiamo sperimentato l’inconfondibile forza di reazione che ci pervade nel momento stesso in cui ci troviamo sopraffatti. Sono i momenti in cui la nostra felicità viene messa in maggior crisi quelli in cui, una volta rialzati, scopriamo in noi la determinazione a riconquistarla e il diritto ad averla. Ci ricordiamo di quanto valga la pena camminare, pur come un’equilibrista sul filo, quando alzando di poco lo sguardo scorgiamo così tanto senso ad aspettarci.
Capiamo che evitare il viaggio significa anche privarci della meta, o meglio, del sogno di questa.