
“Sii come Bill”. Queste sono le tre paroline magiche con cui concludevo, la notte tra il 23 e il 24 dicembre 2015, la mia prima vignetta con questo buffo personaggio fatto interamente di linee e punti. Un po’ in preda all’insonnia, un po’ in preda alla rabbia suscitata dal dilagare delle fake news in quel periodo, decidevo di pubblicarla su una pagina Facebook dedicata. Metterla in pasto al web, per vedere come ne sarebbe uscita.
Il resto della storia è inutile che ve lo racconti, già lo avrete letto o sentito una decina di volte e non voglio tediarvi ulteriormente. Per quello già ci sono i telegiornali con un aggiornamento ogni circa 15 minuti sui vari DPCM del Governo. Il punto di questo articolo, e più in generale di tutta la mia rubrica su Sii come Bill Magazine, è un altro: fare una riflessione che vada oltre la semplice vignetta su Paint. Farvi capire meglio cosa mi abbia spinto a investire quei 30 secondi della mia vita a scrivere un testo bambinesco in Arial Black e condividerlo col mondo. E soprattutto perché farlo attraverso un omino stilizzato sorridente.
Le fake news
Nella mia innocenza da neo-diciannovenne pensavo, o forse meglio dire speravo, che il problema delle fake news fosse passeggero. Un problema che si sarebbe risolto dopo qualche mese, nutrendo eccessiva fiducia nel genera umano. Ero speranzoso che prima o poi tutti avrebbero capito che per verificare una bufala bastasse semplicemente alzare leggermente gli occhi, sfoderare un briciolo di capacità critica, e leggere la fonte della notizia. Per capirci, siti come “ilfattoquotidaIno” o “reSpubblica” sono meno attendibili di un blog di terrapiattisti o pastafariani -se non sapete chi sono cercate su Google a vostro rischio e pericolo. Magari per chi porta gli occhiali e fa fatica a leggere un po’ meno, perché giustamente la posizione di una singola lettera può trarre in inganno. Ed è proprio questo il problema della fake news. Oltre a diffondere un’informazione sbagliata, in grado di avere ripercussioni inimmaginabili sulle menti del popolo, si basano su uno sfruttamento estremamente anti-etico.
Devo essere sincero: ora faccio tanto il filosofo con queste belle parole, ma 5 anni fa non pensavo questo. Anzi… quasi me la prendevo più con chi cadeva nella trappola delle bufale, piuttosto che con chi le diffondeva.
“Ma com’è possibile credere in una cosa del genere? Bisogna proprio essere stupidi!”
Mi ripeteva la mia testa. Dopo un po’, forse grazie alla maturità raggiunta grazie all’allenamento critico quotidiano nel realizzare stickman su Paint, mi sono reso conto che non è così. Il mondo non è tutto bianco o nero, non si possono trovare soluzioni semplici a problemi complessi, e soprattutto non si può essere così giudicanti verso il prossimo. Perché alla fine, come per qualsiasi altro problema, la responsabilità delle fake news la abbiamo un po’ tutti. Io stesso in quel periodo credevo fermamente nell’equazione “fonte attendibile = notizia attendibile”. Ma in realtà non è così semplice neanche questo. Perché il problema del non verificare le fonti non riguarda solo i fruitori delle notizie, ma anche gli autori. Eh già, proprio quei giornalisti che immaginiamo come degli esseri strani che vivono in un mondo parallelo. Eppure sono come noi, e c’è qualcuno di loro che, proprio come la zia Pina che condivide notizie su Facebook tra una puntata e l’altra di Forum, non riesce a distinguere il vero dal falso. Senza andare troppo lontano, è successo recentemente con il discorso “Blue Whale”. Tutti si allarmarono sul pericolosissimo gioco misterioso, senza conoscere il background web che c’era dietro e che alimentava la leggenda.
Bill siamo noi
In Bill e il suo format ho trovato in quella notte del 2015 un modo per combattere una piaga sociale in modo sintetico -sicuramente più di questo articolo-, ironico e comprensibile a tutti. E l’omino stilizzato senza alcuna caratteristica fisica permette a tutti di identificarcisi. Emulando anche il suo sorriso, si spera.
E proprio per questo continuo ogni giorno a realizzare vignette sugli argomenti più disparati, per non smettere mai di allenare il mio cervello alla capacità critica. Sui social, come nella vita reale. E, se vogliamo vederla da un altro punto di vista a proposito di capacità critiche, ben vengano le fake news. Sono una sorta di test d’ingresso a quell’Università della Vita a cui molti indignati sostengono di essere laureati.